30 Marzo 2023

La sete di bollicine francesi batte inflazione e rincari di filiera. Lo champagne non ha patito le intemperie economiche e un generale aumento del prezzo che, nel 2022, secondo studi di settore francesi, ha registrato un rincaro globale del 6%, con un costo dell’uva al chilogrammo che ha superato la soglia dei 7 euro rispetto ai 6,35 euro dei dodici mesi precedenti.
L’anno scorso è stata quindi un’annata eccezionale. I dati li ha forniti il Comitè Champagne (Comitè Interprofessionnel du Vin de Champagne, Civc), l’organismo statale che promuove, valorizza e tutela questo vino nel mondo, secondo il quale, il bilancio 2022 si è chiuso con un risultato inaspettato e memorabile, segnando un fatturato complessivo di 6,3 miliardi di euro, ovvero un livello mai raggiunto in tutta la lunga e secolare storia di questo pregiato vino.
Il Belpaese ha brindato e ha contribuito a tale exploit, mettendo a sua volta a segno un giro di affari di 247,9 milioni di euro, il 19,1% in più rispetto al 2021, e conteggiando un totale di 10,6 milioni di bottiglie spedite dalla Francia verso il nostro paese. Certo siamo ancora lontani dai paesi top player, ma l’Italia è entrata nell’èlite delle zone più estimatrici delle bolle francesi, diventando il quinto mercato a livello di volumi esportati (superati nel 2022 sia il Belgio che l’Australia), mentre a valore, scalzando la Germania, si è posizionata al quarto posto del ranking mondiale.
Oltre all’ottimo andamento generale, lo scorso anno è stata ribadita una tendenza che caratterizza molto il gusto degli italiani in tema di Champagne. «Notiamo oramai un forte interesse per le referenze di alta gamma, che oramai contano per il 31% del fatturato totale – ha commentato Charles Goemaere, Direttore Generale del Comitè Champagne –. Il mercato italiano è, quindi, sempre più composto da connaisseur, interessati a degustare e consumare la qualità più elevata dell’offerta, dai Millesimati fino soprattutto alle Cuveé de Prestige che generano oltre un quinto dell’intero giro di affari. Ma vale la pena sottolineare anche la crescente richiesta di Rosè, la cui quota sulle vendite in Italia è passata dal 5,9% del 2021 all’8,2% del 2022. A favorire questa crescita di tipologie top, riteniamo siano due fattori di base: un aumento dei consumi durante l’aperitivo e una generale robusta ripresa del canale Horeca».
Detto questo, il 2023 si avvia verso una vendemmia che si spera essere di alto livello. «Lo è stata quella del 2022, come non si vedeva da tanti anni, nonostante la situazione di siccità – dichiara sempre Goemaere –. Ovviamente le insidie del clima rimangono di stretta attualità e la produzione potrebbe risentirne nel 2023. In ogni caso, abbiamo scorte per oltre 1,2 miliardi di bottiglie che ci pongono al riparo.
Sul futuro del mercato dello Champagne rimaniamo prudentemente ottimisti, anche se ben consapevoli che il contesto economico mondiale non sia ancora dei migliori. Guardiamo con timore la scelta delle etichette health warning adottata dall’Irlanda, ritenendo che, così facendo, si perda quel grado di armonia legislativa a livello europeo e si mette a rischio la libera circolazione delle merci. Per di più, le bottiglie di Champagne sono etichettate con ampio anticipo prima di entrare in commercio, quindi un eventuale cambiamento obbligherebbe a fare delle sostituzioni delle label, cosa che comporterebbe un surplus dei costi non indifferente».
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