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BEVERAGE & GROCERY
o potenzialmente tali e ingredienti
che prevedono l’impiego di etanolo
costituiscono gli elementi princi-
pali da valutare o escludere dalla
produzione certificata halal.
Ciò discende dai precetti che si
trovano nel Corano, che considera
non consentiti qualsiasi derivato dal
maiale, qualsiasi derivato da anima-
li non macellati ritualmente (come
nell’ebraismo), gli animali dei quali
non si conosca la causa della morte,
il sangue e le bevande inebrianti».
U
n tasso di crescita del
15% su scala interna-
zionale, che nel solo
segmento Food and
Beverage genera un fatturato
globale di circa 600 miliardi di
euro. Dietro queste cifre c’è una
parola, “halal”, che in arabo signi-
fica “lecito”, e che in Occidente
si riferisce principalmente al cibo
preparato in modo accettabile per
la legge islamica.
Tutti sappiamo che i musulma-
ni non mangiano determinati
alimenti o alimenti preparati in
determinati modi. Non tutti inve-
ce sanno che esistono degli enti
di certificazione che rilasciano
alle aziende agroalimentari (e
non solo a quelle) un attestato che
comprova il rispetto delle regole
islamiche di liceità, e che questo
riconoscimento può tramutarsi
in un lasciapassare verso nuovi
mercati, sia in Italia sia all’estero.
«Le potenzialità in termini di
volumi secondo noi sono enormi,
ma ancora inespresse» - sostiene
Alessandro Valerio, responsabile
Ricerca e Sviluppo del Salumifi-
cio Rigamonti.
Regole
e certificazione
Quali sono le principali regole
islamiche di liceità in ambito
alimentare? «L’attenzione è foca-
lizzata tanto sulla composizione
del prodotto, quanto su tracciabi-
lità e segregazione del processo
produttivo» - spiega Hamid ’Abd
al-Qadir Distefano, Amministra-
tore delegato dell’organismo di
certificazione Halal Italia. «Quin-
di ingredienti di origine animale
MERCATI/HALAL
PROBLEMATICHE,
PROSPETTIVE E
CRITICTÀ
DI UN SEGMENTO
IN CRESCITA CHE
OGGI ANCHE IN ITALIA
COMINCIA
AD AFFERMARSI
di Giuliano Pavone
Cibi “leciti”,
un
business emergente