pubblici esercizi
24 Febbraio 2022Nonostante la pandemia, sottolinea la ricerca, il comparto ha fatto registrare nel 2020 un +0,8% rispetto al 2019, una percentuale ancora più significativa se si considera il crollo dell’intera economia (-8,9%). Le attese per l’anno in corso parlano di un’ulteriore crescita del food&beverage (+6,3% rispetto al periodo pre-Covid), con tutti i comparti in attivo contro una crescita media nazionale stimata a +3,7%.
Quanto ai canali di vendita, si prevede un ulteriore consolidamento della grande distribuzione alimentare (+4,7% sul 2019 e un fatturato aggregato vicino ai 100 miliardi di euro), che vede però i discount guadagnare terreno (+19,8% nel triennio 2022-2019), e un vero exploit dell’e-commerce, che triplicherà il suo valore di mercato.
“La valorizzazione del made in Italy porterà benefici all’intera filiera. La centralità di salute e benessere, l’interesse per l’italianità dei prodotti, la ricerca della qualità, l’attenzione dei consumatori alla sostenibilità favoriscono infatti la nostra industria del Food&Beverage, per cui si apre un’ottima stagione", commenta Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved.
Tornando alla crescita attesa nel 2022, se a trainare lo sviluppo del settore sarà soprattutto la prima trasformazione (+14,6% tra 2022 e 2019), ripartirà anche il segmento delle bevande (+4,6%) che aveva fortemente risentito del lockdown e delle chiusure nell’Ho.Re.Ca (-4,4% nel 2020 sul 2019). Le difficoltà vissute dal mondo della ristorazione però non sono ancora alle spalle: la ripresa c’è ed è evidente, ma ancora non permetterà di recuperare i livelli pre-Covid (-3,5% nel 2022 sul 2019).
Ma non è finita, perchè secondo Cerved i prossimi mesi segneranno un profondo cambiamento nel tessuto imprenditoriale tricolore. Le cause? Le conseguenze del processo di transizione verso un’economia a zero emissione, oltre al forte rincaro delle materie prime.
“Secondo una nostra analisi - prosegue Mignanelli - sono circa 14mila le società F&B che dovranno effettuare investimenti rilevanti per riconvertire i processi produttivi in linea con gli obiettivi europei, ben il 18% delle società di capitale della filiera contro l’8,4% calcolato sul totale Italia. Di queste, oltre 9mila, soprattutto Pmi, potrebbero uscire dal mercato perché non hanno i fondamentali necessari a sostenere gli investimenti necessari per la transizione. Di contro, le altre 5mila hanno una situazione finanziaria che permette loro di finanziare investimenti fino a 1,2 miliardi di euro, in grado di accelerare la trasformazione di tutta la filiera”.
Le imprese che rischiano di più sono quelle che lavorano nell'ingrosso delle materie prime agricole, che coltivano uva e olive, che si occupano di allevamento di bovini da latte e della conservazione delle carni. In base alla ricerca, queste tendenze aprirebbero una nuova stagione di aggregazioni aziendali, consolidando il mercato e portando a realtà più grandi in grado di competere meglio sui mercati internazionali.
“Già nel 2021 vi sono state molte operazioni, secondo una nostra analisi sui dati di bilancio esistono 400 Pmi, moltissime a conduzione familiare, con fondamentali eccellenti che potrebbero entrare nel mirino di investitori istituzionali”, conclude l'ad di Cerved.
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