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GIU. LUG. 2014
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Data di scadenza che potrebbe essere
eliminata da alcuni alimenti secchi
a lunga conservazione, come pasta,
riso e caffè: ne stanno discutendo
i ministri dell’Agricoltura UE. Con
l’obiettivo, di eliminare gli sprechi
alimentari, che l’Unione Europea
vuole dimezzare entro il 2025.
UN IMPEGNO DA COMUNICARE
Quale che sia la via per diminuire
gli sprechi, il risultato sarà sempre
positivo. Migliorare i processi in cu-
cina aiuta l’ambiente e fa risparmiare
denaro. Agevolare il recupero di cibo
e vino non consumati è un servizio al
cliente oltre che all’ambiente. Donare
i pasti a enti benefici e comunicare
che si aiuta la comunità locale mi-
gliora l’immagine dell’esercizio, dal
punto di vista della responsabilità
sociale ed ambientale.
Insomma, non ci sono scuse: l’obiet-
tivo dello spreco zero è buono, giusto
e conveniente.
LO CHEF
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U
n ristorante a scarto zero. Con questa filosofia lo
chefFrancoAlibertieAndreaMucciolihannoaperto
lo scorso aprile Èvviva a Riccione. Nato pasticcere,
Franco ha lavorato nelle cucine dei grandissimi: Marchesi,
Alaimo, Ducasse, e ha poi passato un anno da Bottura «per
recuperare il salato», in vista della nuova avventura. Gli
abbiamo chiesto cosa significa cucinare a scarto zero. «Vuol
dire semplicemente mettere la professione al servizio della
materia prima, che cerco di utilizzare al 100% ma in modo
funzionale, non perché è la moda del momento».
Da Èvviva le lische di pesce diventano patatine, le bucce
di pomodoro essiccate e polverizzate servono per mantecare la pasta e i rami aromatizzano l’acqua in cui cuoce,
come i gusci di mollusco che «aggiungono una mineralità marina che rende ancora più intenso il sapore degli
spaghetti alle vongole».
Fondi di caffè e parti vegetali non utilizzabili sono usati per concimare l’orto annesso al ristorante.
Quali sono le regole da seguire per cucinare a scarto zero? La stagionalità degli ingredienti, controllata vedendo
crescere le verdure dell’orto, e piatti fuori carta perché «il pesce lo scelgo a seconda della reperibilità e del prezzo
di mercato, facendo riflettere la gente che un’alice, un luccio o uno sgombro appena pescati non hanno nulla da
invidiare a specie più pregiate: tutto dipende da come sono trattati».
La comunicazione è importante: «la cucina è a vista e tutti possono vederci cucinare. Acquistiamo il giusto per
evitare eccedenze, anche a rischio di rimanere senza un ingrediente. A quel punto proponiamo un altro piatto,
spiegando i motivi delle nostre scelte».
Porzioni giuste o doggy bag? «L’idea di portare il cibo a casa non rende merito alla professionalità dello chef, un
piatto riscaldato non può essere buono come appena fatto. Preferiamo proporre due tipi di porzioni: assaggio a
metà prezzo e normale, in modo che il cliente si regoli sulla sua fame».
La stessa filosofia la seguono anche gli arredi e le ceramiche, spesso riciclati da materiali da recupero comemacchine
da cucire o bancali, e la scelta della location, una ex lavanderia del Grand Hotel salvata dalla demolizione.
Franco Aliberti, Andrea Muccioli e la squadra di Èvviva. A sinistra
riso, sgombro, agrumi, mandorle e cipolle rosse. Sotto, il ristorante
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