FEB. MAR. 2014
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veramente accogliente e capace di ri-
spondere alle richiestedel cliented’og-
gi, forse più concreto e meno attento
alle formule vuote, prive di contenuto
ealleconsuetudinitradizionalisempre
meno comprensibili dai più.
Ilmaîtreoggideveevolvereinunafigu-
ra piùmoderna, chemaneggi tecniche
manageriali e conosca i rudimenti di
tutte le funzioni aziendali e conosca
il marketing.
«La figura del maître rimane molto
importante - prosegue Fontanesi -
soprattutto nella ristorazione di alta
e altissima gamma. Non può quindi
rimanere ancorata a schemi del pas-
sato, ma evolvere, in linea con i tempi.
Oggi lo chef mostra una certa sovrae-
sposizione, è al centro dell’attenzione:
tuttaviamolticuochi,seppurditalento,
non sono in grado per vari motivi di
intessere un corretto rapporto con il
cliente, che deve essere mediato da
una figura di riferimento. Nei nostri
corsi, prevediamo un’attività didatti-
ca di 60 ore riservata alle tematiche
della sala (accoglienza, mise en place,
rapporto con il cliente). La nostra idea
è che occorra conoscere le basi classi-
che per riuscire a esprimere concetti
di modernità».
SALA: DA COSTO A INVESTIMEN-
TO
«Eppure oggi - sottolinea Santina-
to - l’85% dei camerieri sono semplici
portatori di piatti, privi di empatia, di
orientamento al cliente, della capacità
di vendereedi creareuna suggestione.
Silimitanoaservirefacendomenodan-
nipossibili,magarisorridendo,magari
essendo gentili ma tutto qua. Invece
una sala ben formata è composta da
professionisti che sanno svolgerebene
il loro lavoro, sono in grado di coglie-
re da pochi dettagli la psicologia del
cliente e, così, interpretano al meglio
il servizio. Spesso, quando chiedo a
un cameriere di descrivermi il piatto,
aggiungo una domanda ulteriore, cioè
se il cameriere stesso ha assaggiato la
pietanza. Ebbene, il 95% degli inter-
pellati mi risponde di no. Certo che
se il cameriere non ha assaggiato il
piatto, non è stato istruito dallo chef
in un briefing, non ha potuto dire
la sua, non sentirà quella pietanza
come propria e non riuscirà a comu-
nicarla correttamente al cliente, con
scarsi risultati di vendita. Una sala
ben formata e strutturata - continua
il consulente - non è un costo da af-
frontare, ma è un investimento. Ave-
re camerieri professionali, capaci di
prendere correttamente la comanda
e che sappiano interpretare la psico-
logia del cliente, può fare lievitare
del 10% il fatturato del ristorante.
Prendiamo, per esempio, i dessert:
molti clienti vanno al ristorante per
assaggiare dessert prelibati, ma giun-
gono a questo momento del pasto
già sazi. In questo caso la canonica
domanda “volete altro?” è ineffica-
ce e i dessert rimangono in cucina.
Moltomeglio che il cameriere sappia
fare una descrizione “emozionale”,
capace di solleticare il palato e il
cuore dei commensali».
PRIMO PIANO
IL RISTORANTE
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no dei templi dellamoderna romanità a tavola, uno dei locali che
sta portando avanti un serio lavoro di riedizione della tradizione
è il ristorante Pipero al Rex che, senza alcuna scappatoia né
facile concessione al cliente, si sta imponendo nel panorama ristorativo
capitolino.Meritodi AlessandroPipero, uomodi salaepivot del ristorante
romano, uno dei pochi, o forse l’unico in Italia, a prendere il nome dal
maître e non dallo chef.
«Quando ho aperto il ristorante a nome mio - spiega Pipero - molti mi
prendevano per pazzo, mi dicevano che senza uno chef di grido avrei
fallito: ebbene, in questi ultimi tre anni ho cambiato tre chef, ma il mio
successo è andato crescendo; segnale, questo, che c’è qualcos’altro oltre
alla cucina che fa propendere il cliente per un locale o per l’altro. Oggi
il problema principale è la mancanza di identità. Molti ristoranti non
sono in grado di crearne una, né in cucina, né in sala. Credo che, in un
panorama piuttosto appiattito, chi è in grado di dare un’impronta chiara
a quanto sta facendo ha successo. Certo è che, se non si hanno le giuste
professionalità in sala e se non esiste un buon rapporto osmotico tra
sala e cucina, questa magica alchimia
risulta impossibile».
Pipero è un vero e proprio “animale da
sala”, che mette passione vera nel suo
lavoro. «Svolgo uno dei lavori più belli
del mondo – conclude – ogni sera mi
faccio un viaggio tra i cinque continenti,
ho la possibilità di confrontarmi con
clienti di tante culture e di dare vita a
un rapporto che arricchisce entrambi.
Non cambierei mai quello che faccio con
il mestiere di cuoco: per essere uomo di
sala occorre avere competenze ampie e
profonde, capacità di interagire con gli
altri, rapidità e precisione».
Alessandro Pipero, uomo di
sala e pivot del ristorante