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BEVERAGE & GROCERY
N
omi, etichette, foto:
tutto fa pensare al ma-
de in Italy alimentare
d’eccellenza. E invece
no. Si tratta di contraffazione.
Il fenomeno, noto con il nome di
italian sounding, si basa su una
dinamica tanto semplice quanto
efficace: utilizzare denominazioni
geografiche, immagini e marchi
che evocano l’Italia per promuo-
vere e commercializzare prodotti
che nulla hanno a che fare con il
nostro Paese.
Una forma eclatante di concor-
renza sleale e truffa nei confronti
dei consumatori, che, secondo le
stime, frutta qualcosa come 60
miliardi di euro l’anno, il doppio,
cioè, dell’attuale valore delle
esportazioni italiane di prodotti
agroalimentari, attestate a quota
27 miliardi di euro.
Un business enorme, quindi, che
potrebbe rappresentare un for-
midabile terreno di caccia per le
nostre aziende, spingendo così
un export che ha sì conosciuto
negli ultimi anni una stagione di
sviluppo, ma che è ancora molto
lontano dai livelli raggiunti dalla
Germania, Paese non certo noto
per la sua tradizione culinaria,
capace però di registrare alla voce
food&beverage ben 55miliardi di
euro di vendite oltreconfine.
L’italian sounding rappresenta,
insomma, un problema grave, ma
al tempo stesso - come è emerso
dal convegno “Parliamo di food
a 365 giorni da Expo” organiz-
zato da Fiera Milano-Tuttofood
- costituisce anche una sostanziosa
opportunità di crescita per una Na-
zione come la nostra, nella quale
soltanto il 12% delle imprese ali-
mentari opera all’estero. A patto
però che si agisca in modo mirato
e tempestivo.
I PRODOTTI ALIMENTARI CHE EVOCANO UN’ORIGINE ITALIANA,
MA NULLA HANNO A CHE FARE CON IL NOSTRO PAESE,
GENERANO UN GIRO D’AFFARI ANNUO STIMATO IN 60 MILIARDI
DI EURO. UN BUSINESS ENORME SOTTRATTO ALLA BILANCIA
COMMERCIALE NAZIONALE, CHE RAPPRESENTA PERÒ ANCHE
UNA STRAORDINARIA OPPORTUNITÀ DI CRESCITA PER LE
AZIENDE DEL SETTORE
di Manuela Falchero
Le due facce
di una medaglia
Barriere & accordi
Il primo aspetto da affrontare è senza
dubbio il nodo normativo.
Allo stato attuale, i prodotti italiani
sono fortemente penalizzati da un
imponente impianto di barriere poste
a protezione dei mercati interni dai
Paesi a più alto tasso di sviluppo, che
quindi rappresentano i mercati più
interessanti per la nostra industria.
A livello tariffario Brasile, Russia e
Cina impongono, infatti, dazi medi
compresi tra il 14% e il 17%, mentre
l’India svetta a quota 34%.
E non va meglio neppure sul piano
È grave il problema dei dazi: tra il
14% e il 17% quelli di Brasile, Russia
e Cina, del 34% quelli dell’India
ITALIAN SOUNDING