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GENNAIO/FEBBRAIO 2015
MARKETING
s
embra impossibile, ma fare
radio in store è anche più
difficile che fare una radio
commerciale. A dirlo è
Mas-
simo Petrella
di
Tailoradio
, una delle
tre società di radio in store che abbiamo
ascoltato per una panoramica di questa
particolare forma di comunicazione
all’interno dei punti vendita. Sembra
impossibile, ma se ci si pensa non può
essere che così, considerando che se una
normale radio commerciale deve “solo”
intrattenere e informare, una radio in
store ha anche una finalità promozionale
(che però è diversa da quella della pub-
blicità classica) e un importante scopo
di brand awareness.
I dipendenti, innanzitutto
Prima di affrontare questi temi, è bene
però partire da un’altra caratteristica di-
stintiva di questo tipo di comunicazione,
una caratteristica a cui spesso non si fa
caso. Destinata in primis ai clienti/con-
sumatori, la radio in store è fruita anche,
e soprattutto, da chi nei punti vendita
lavora. Un fatto questo che deve suggerire
delle cautele, ma che riserva anche delle
opportunità.
“C’è unproblema chemolti sottovalutano,
e cioè che i dipendenti dei punti vendita
ascoltano la radio per otto ore al giorno,
e senza averlo scelto” segnala Massimo
Petrella.
“Ciò fa sì che si debba esseremolto attenti
a programmare un elevatissimo numero
di brani con un basso numero di ripeti-
zioni per brano, e una programmazione
nuova ogni giorno.
Allo stesso tempo, si può usare la radio in
RADIO IN STORE: PER TUTTI LA PAROLA D’ORDINE
È PERSONALIZZAZIONE; A CAMBIARE SONO LE FORMULE
MESSE IN CAMPO. IL RACCONTO DI TRE PROTAGONISTI
di Giuliano Pavone
Giusto mix
di musica e parole




