Table of Contents Table of Contents
Previous Page  33 / 68 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 33 / 68 Next Page
Page Background

APR. MAG. 2016

31

Qual è il lascito di iniziative di

solidarietà come quelle che lei

sta vivendo? Ritiene che anche il

processo creativo di un piatto sia

influenzato da queste esperienze?

Sì, senza dubbio. Anche se, in questo

caso, l’influenza è più sul versante

umano che su quello delle tradizio-

ni gastronomiche vere e proprie. In

Ruanda, come in quasi tutti i paesi

alle prese con una grave e prolun-

gata povertà, la cucina è fondata su

pochi prodotti locali, essenzialmente

cereali, patate e legumi. Sostanziosi e

riempipancia, unpo’ come la polenta

ha rappresentato l’alimentazionenel-

le nostre campagne povere per seco-

li. Quindi è difficile avere influenze,

suggestioni da trasferire alle proprie

creazioni. Viceversa, sotto il profi-

lo umano, vedere queste situazioni,

nelle quali quotidianamente non è

ammesso alcun volo pindarico e il

cibo a disposizione è estremamente

rispettato e non sprecato, di certo

cambia un po’ il modo di vedere le

cose, anche al ritorno in Italia.

In questi ultimi anni gli chef han-

no occupato il centro della scena

mediatica, unpo’ come le rockstar

negli anni ’90. Come giudica que-

sto fenomeno?

Uno chef non può salvare il mondo.

Questo è il punto di partenza del

mio giudizio su questo aspetto. Ma,

certo, la presa sull’opinione pubblica

può servire a fare passare un mes-

saggio che non sia solo edonistico

ma faccia riflettere sulla condizione

di una parte del mondo. Gli chef del

nostro tempo devono sapere coniu-

gare molti piani di lavoro e sinte-

tizzarli in un’unica opera. L’aspetto

più importante è, senza dubbio, una

forte etica professionale, indirizzata

al rispetto e all’equilibrio. Lo chef

deve prendere delle scelte secondo

la propria responsabilità, ma può

anche veicolare un messaggio po-

sitivo nei confronti della società, in

particolare verso i più giovani.

Per finire, qual è la cosa che, se-

condo la sua esperienza, noi occi-

dentali possiamo imparare dagli

abitantideipaesi inviadi sviluppo?

Nel rapporto con il cibo dei ruan-

desi, mi ha colpito la naturalità. Noi

viviamo in una società nella quale la

naturalità è un plus che deve essere

pagato, in certi paesi è la povertà che

inibisce le sofisticazioni. In agricol-

tura e in cucina tutto è naturale, sen-

za l’uso di chimica. Tuttavia, anche

questo sta cambiando rapidamente e,

anche loro, sono tentati dall’agricol-

tura industriale per massimizzare le

rese. Invece, dovrebbero capitalizza-

re la loro naturalità come elemento

di diversità rispetto all’Occidente. E

tutelare la loro incredibile biodiver-

sità dall’incubo della monocoltura.