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MARZO/APRILE 2015
«Da noi si vendono i trapani. Tipico oggetto che le
persone affittano dai vicini di casa. Chiedendo spesso
anche un aiuto alla rete di conoscenti per utilizzarlo»,
commenta
Stefano Grisenti
, capo progetto Vision di
Leroy Merlin, che si è preso l’onere di pensare allo
sviluppo futuro dell’insegna. «Non ci sono molte al-
ternative: o farsi cannibalizzare i servizi, o trovare un
modo per ripensarli collaborando».
I tre servizi su cui i 18 membri del top management di
Leroy Merlin hanno riflettuto rispondono ad altrettante
aree strategiche del business: il
fai da te
, la
consegna
dei prodott
i,
l’assistenza
.
Nel primo degli workshop i dirigenti hanno valutato la
possibilità che i corsi di bricolage e fai da te tenuti all’in-
terno dei negozi dagli “esperti Leroy Merlin” diventino
organizzati e strutturati dai clienti stessi, utilizzando
gli spazi aziendali.
Allo stesso modo, l’assistenza fornita ai possessori di
Idea più, la carta fedeltà, diventerà una consulenza
collaborativa, aperta a tutti, con la promozione di vari
progetti, la possibilità di avere aiuto da altri membri
del gruppo o di proporre e ridisegnare idee e prodotti.
Infine, la consegna: al posto del canonico home-deli-
very a carico dell’azienda, gli stessi clienti potrebbero
recapitare a casa i prodotti comprati online da persone
che abitano nella stessa zona. In cambio, ovviamente,
di sconti e accesso gratuito a servizi o noleggi.
SCENARI
Più fidelizzazione
Questa logica diminuisce i rischi per l’a-
zienda: aumenta infatti la fidelizzazione,
mette a disposizione un parco collabora-
tori più ampio e consente di creare nuovi
servizi ad hoc. In America, un esperi-
mento simile è stato condotto dai negozi
Walgreen che si sono affidati agli utenti
di Task rabbit - una piattaforma in cui le
persone offrono il loro tempo e le loro
competenze on demand - per recapitare
a persone che vivono nella stessa zona
i medicinali ordinati sul web. Un’ipotesi
al vaglio anche di Wal- Mart: arruolare i
clienti per le consegne, raggruppandoli
per aree geografiche, consentirebbe di
battere, per esempio, la concorrenza di
Amazon.
S
L’
ultima frontiera del consumo collaborativo
vede ribaltati gli abituali meccanismi di
relazione tra azienda e consumatore: l’idea
è che la futura gamma di prodotti sia progettata
non più solo dai designer del gruppo, ma anche dai
clienti, così da produrre cose più vicine possibili alle
esigenze e ai desideri di chi le deve comprare.
Di esempi ce ne sono da tempo: Nike Id, il
laboratorio virtuale per creare la propria sneaker,
che adesso è diventato un corner nei Nike Town di
Londra, New York, Los Angeles, è stato il primo.
Poi sono arrivati i ragazzi di Threadless: on line si
sottomette a un panel di consumatori il proprio
disegno, da riprodurre su una t-shirt.
I più votati vanno in produzione e gli ideatori vengono
retribuiti, ottenendo anche un riconoscimento
immediato da una community di esperti. E adesso
sono nati i punti di vendita sici. C’è spazio anche
per iniziative simili nella fascia alta.
Nei negozi Nordstrom hanno chiesto ai clienti di
disegnare le scarpe della linea Tom’shoes, una iper
personalizzazione del prodotto che supera il cliché
del consumo di massa. E Ralph Lauren, tramite
vetrine interattive e chioschi in store, consente di
creare una Polo unica e di personalizzare felpe,
maglioni, divise sportive.
IL CLIENTE DICE LA SUA




