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GENNAIO/FEBBRAIO 2015
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onostante la crisi, i con-
sumatori restano fedeli
ai brand: nel 70% degli
acquisti sono privile-
giati i prodotti più famosi. Alta qualità,
innovazione, sicurezza restano i punti
di riferimento nella scelta degli italiani,
insieme alla crescente attenzione per la
sostenibilità ambientale. Il contesto di
mercato, però, è tutt’altro che positivo.
I consumi non crescono e all’orizzonte
non si vedono segnali di un’inversione
di tendenza. La spesa delle famiglie è
limitata sia dall’andamento stagnante dei
redditi sia dall’erosione del risparmio,
fenomeno senza precedenti nel nostro
Paese. Le sfide quindi per l’industria di
marca non sono né di facile né di breve
soluzione.
Di certo, un ruolo fondamentale sarà
giocato dalla capacità che quest’ultima
avrà di mantenere la propria distintività.
Una strada a senso obbligato, indicata
con fermezza da Luigi Bordoni, dal 2008
al vertice di Centromarca, l’associazio-
ne nata nel 1965 che riunisce circa 200
imprese tra le più importanti attive nei
diversi settori dei beni di consumo im-
mediato e durevole.
In un mercato sempre più attento alla
leva prezzo quale valore ha la marca?
Lamarca esprime un valore che va oltre il
prezzo, somma di componenti tangibili e
intangibili che non sonopresenti inmodo
omogeneo in tutti i prodotti di una stessa
categoria. In questi anni di contrazione
del potere d’acquisto, i consumatori sono
stati portati da un uso spregiudicato del
prezzo a migrare più frequentemente da
una referenza ad un’altra. Al momento
della prova, però, rilevano differenze,
spesso significative, rispetto alla marca
industriale preferita. E tornano sui loro
passi. Lo conferma, per esempio, l’arresto
della crescita della private label, nono-
stante la forte spinta esercitata dallaGdo.
In Italia, dopo decenni di presenza sui
mercati, continua ad avere una quota di
mercato decisamente contenuta rispetto
alle altre nazioni europee.
Però la distintività di una marca non
è un dato acquisito…
Certo, non c’è spazio per le rendite di
posizione. Ogni industria di marca deve
attualizzare di continuo il suo ruolo e i
suoi prodotti. Essere sempre un passo
avanti, sperimentare, mettersi in gioco.
Chi segue questa linea getta le basi per
il futuro, mentre chi rincorre il prezzo
basso lo ipoteca seriamente.
Negli ultimi mesi si è assistito a un
importante aumento della pressione
promozionale, fino alla quota record
del 30%. È un trend destinato a cre-
scere ancora oppure si è arrivati a una
sostanziale soglia-limite?
Il quadro è paradossale. Tutti, anche i
distributori, sono concordi nell’affermare
che l’iperpromozionalità sta erodendo
i margini, non sostiene più i volumi e
indebolisce la fedeltà degli individui alle
marche e alle insegne distributive.
La rincorsa al prezzo più basso strema le
imprese, compromette capacità di inve-
stimento, crescita e occupazione, finen-
do per generare costi sociali maggiori
dei benefici concessi al consumatore. In
questo senso sono di grande interesse, e
credo senza precedenti, le dichiarazioni
alla stampa francese del ceo di Carrefour,
Georges Plassat: “Occorre farla finita con
questa politica infernale, che punta ai
volumi attraverso una diminuzione dei
prezzi. Dura da 30 anni ed abbiamoormai
raggiunto il fondo!”.
A Michel Edouard Leclerc, secondo il
quale è da irresponsabili ridurre lo sforzo
di contenimento dei prezzi, in presenza
di gravi difficoltà per ampie fasce della
popolazione, il Ceo del secondo gruppo
distributivo mondiale replica che “Non
c’è sociale senza economia. Occorre
rilanciare il potere d’acquisto, ma non
abbassando i prezzi, bensì diminuendo
la tassazione sul lavoro e sui lavoratori”.
In questo scenario, quali sono le leve
sulle quali l’industria di marca deve
investire? Quale ruolo giocano, inpar-
ticolare, innovazione e qualità?
L’industria di marca presidia un concetto
dinamico di qualità. Per noi è qualcosa
che evolve nel tempo, che mette a frut-
to il know how unico di ognuna delle
nostre industrie e porta alla creazione
di prodotti coerenti con le esigenze del
presente. Offriamo la miglior qualità in-
dustriale al giusto prezzo.
L’inizio dell’anno suggerisce bilanci:
come si è chiuso il 2014 per l’industria
di marca che voi rappresentate?
È presto per parlare di consuntivi, possia-
mo però dire che nel complesso i brand
hanno tenuto anche in una situazione di
stagnazione dei consumi.
La dinamica complessiva delle vendite è
in linea con quella di mercato.
L’industria di marca esprime però anda-
menti molto differenziati. In genere, le
aziende che guardano avanti investono,
alimentano l’equity dei loro brand, di-
fendono il valore e registrano risultati
positivi.
È rilevante che nel 2014, dopo diversi
anni di stallo, l’Idm abbia ripreso ad
investire in comunicazione: il mercato
pubblicitario non è cresciuto nel 2014,
mentre gli investimenti delle nostre in-
dustrie sono aumentati tra il 4 e il 5%.
È un segnale forte della nostra volontà
di contribuire al rilancio dei consumi e
alla ripresa economica.
S
OCCORRE RILANCIARE IL POTERE D’ACQUISTO,
MA NON ABBASSANDO I PREZZI, BENSÌ
DIMINUENDO LA TASSAZIONE SUL LAVORO
E SUI LAVORATORI




