OTT. NOV. 2016
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Che tipo di cucina hai deciso di
proporre? Come la descriveresti?
La nostra è una cucina italiana rivi-
sitata ma molto classica nei gusti e
nell’impiattamento.
Vieni da una terra, il Trentino, dal-
le forti tradizioni culinarie: c’è un
piatto regionale che ami partico-
larmente preparare?
Mi piace molto cucinare primi piatti,
paste fatte in casa, risotti…
Cosa ne pensi della cucina vege-
tariana o vegana ora che sono di-
ventate di moda?
Esatto, sono di moda e la gente ne
va pazza. Io propongo sia l’una che
l’altra, ma forse sono meno estremi-
sta, quindi mi oriento più su piatti
vegetariani.
Cosa può offrire in più (o in me-
no) una città come New York a
uno chef?
New York è una grande città. Ci so-
no tantissime culture diverse per cui
c’è sempre da imparare. Ormai puoi
mischiare e amalgamare vari tipi di
cibi in una sola cucina. In più, a NY
si riesce a trovare qualsiasi prodotto
tutto l’anno. Quello che non ti dà è
il tempo libero…
Creare una brigata per un risto-
rante italiano nella Grande Mela.
Come ti sei mosso e quali sono
state le eventuali difficoltà? Quali
sono le indicazioni principali che
dai ai tuoi collaboratori?
Cuochi di linea ce ne sono molti,
bisogna stare solo attenti a trovare
quelli giusti. Ci si appoggia a delle
società di ricerca specifiche. Una vol-
ta individuati, la parte più difficile
è tenerseli stretti. Bisogna lavorarci
duro, cercandodi trasmettere loro l’a-
more e la passione per questo lavoro.
Cosa rappresenta la cucina italiana
oggi in America?
La cucina italiana in America è tra le
piùapprezzate, allagentepiacemolto.
Cosanepensi degli chef inTV? Èun
fenomeno forte anche in America?
AncheinAmericastafunzionandomol-
to. Io però ho una visione negativa del
fenomeno perché credo stia distrug-
gendolaprofessionalitàdeiragazziche
unavoltauscitidallascuolaalberghiera
pretendono già di essere famosi chef.
La sana buona gavetta è invece ancora
fondamentale per emergere.
A quale ristorante nel mondo sei
più affezionato?
Il mio ristorante preferito è quello
di casa mia quando torno in Italia.
Tornerai in Italia? O almeno, ci
torneresti?
In Italia ci tornerei in questo istante,
mi manca veramente tanto. La tran-
quillità, l’aria fresca del mio paese,
le montagne, gli amici, il modo di
vivere. Tuttavia, avendo una famiglia
con tre bambini devo pensare al loro
futuro e sicuramente ci sono molte
piùpossibilità inAmerica che in Italia.
Senz’altro ci tornerò, in vacanza e
anche spesso.
gnato tanto: i miei insegnanti erano
i classici professori vecchio stampo
dotati di grandeprofessionalità, amore
e cultura del mestiere. Ho avuto la
fortuna poi di lavorare con degli chef
molto bravi, ma anche molto severi,
con i quali ho imparato a star zitto e a
osservarequellochefacevanoinmodo
da poter rubare i trucchi del mestiere.
La prima cosa che hai fatto, quan-
do
ti hanno chiamato a condurre
il ristorante Sirio dell’Hotel The
Pierre di New York?
Quando ho ricevuto la chiamata dal-
la segretaria personale del Sig. Sirio
non ci potevo credere, devo dire
che ero molto emozionato. Quando
lo incontrai il giorno dopo ricordo
ancora che tremavo. Gli diedi il mio
Curriculum e lui prontamente mi ri-
spose: “io della carta non me ne fo
nulla”. Dopodieciminuti di colloquio
mi disse: “ho bisogno di uno chef
come te, domani puoi iniziare”. In
quel momento ero probabilmente la
persona più felice sulla terra perché
ero stato assunto da un ristoratore
conosciuto in tutto il mondo.
Infatti, una grande responsabilità
considerando la popolarità di Sirio
Maccioni tra politici e star. Qual è
il tuo rapporto con lui?
Il rapporto con il Sig. Sirio è molto
umano, si scherza molto ma c’è so-
prattutto molta professionalità.
Foto Gruppo
Massimo Bebber, Gillian Miniter,
Sirio Maccioni e Marco Maccioni




