Table of Contents Table of Contents
Previous Page  25 / 68 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 25 / 68 Next Page
Page Background

OTT. NOV. 2016

23

Che tipo di cucina hai deciso di

proporre? Come la descriveresti?

La nostra è una cucina italiana rivi-

sitata ma molto classica nei gusti e

nell’impiattamento.

Vieni da una terra, il Trentino, dal-

le forti tradizioni culinarie: c’è un

piatto regionale che ami partico-

larmente preparare?

Mi piace molto cucinare primi piatti,

paste fatte in casa, risotti…

Cosa ne pensi della cucina vege-

tariana o vegana ora che sono di-

ventate di moda?

Esatto, sono di moda e la gente ne

va pazza. Io propongo sia l’una che

l’altra, ma forse sono meno estremi-

sta, quindi mi oriento più su piatti

vegetariani.

Cosa può offrire in più (o in me-

no) una città come New York a

uno chef?

New York è una grande città. Ci so-

no tantissime culture diverse per cui

c’è sempre da imparare. Ormai puoi

mischiare e amalgamare vari tipi di

cibi in una sola cucina. In più, a NY

si riesce a trovare qualsiasi prodotto

tutto l’anno. Quello che non ti dà è

il tempo libero…

Creare una brigata per un risto-

rante italiano nella Grande Mela.

Come ti sei mosso e quali sono

state le eventuali difficoltà? Quali

sono le indicazioni principali che

dai ai tuoi collaboratori?

Cuochi di linea ce ne sono molti,

bisogna stare solo attenti a trovare

quelli giusti. Ci si appoggia a delle

società di ricerca specifiche. Una vol-

ta individuati, la parte più difficile

è tenerseli stretti. Bisogna lavorarci

duro, cercandodi trasmettere loro l’a-

more e la passione per questo lavoro.

Cosa rappresenta la cucina italiana

oggi in America?

La cucina italiana in America è tra le

piùapprezzate, allagentepiacemolto.

Cosanepensi degli chef inTV? Èun

fenomeno forte anche in America?

AncheinAmericastafunzionandomol-

to. Io però ho una visione negativa del

fenomeno perché credo stia distrug-

gendolaprofessionalitàdeiragazziche

unavoltauscitidallascuolaalberghiera

pretendono già di essere famosi chef.

La sana buona gavetta è invece ancora

fondamentale per emergere.

A quale ristorante nel mondo sei

più affezionato?

Il mio ristorante preferito è quello

di casa mia quando torno in Italia.

Tornerai in Italia? O almeno, ci

torneresti?

In Italia ci tornerei in questo istante,

mi manca veramente tanto. La tran-

quillità, l’aria fresca del mio paese,

le montagne, gli amici, il modo di

vivere. Tuttavia, avendo una famiglia

con tre bambini devo pensare al loro

futuro e sicuramente ci sono molte

piùpossibilità inAmerica che in Italia.

Senz’altro ci tornerò, in vacanza e

anche spesso.

gnato tanto: i miei insegnanti erano

i classici professori vecchio stampo

dotati di grandeprofessionalità, amore

e cultura del mestiere. Ho avuto la

fortuna poi di lavorare con degli chef

molto bravi, ma anche molto severi,

con i quali ho imparato a star zitto e a

osservarequellochefacevanoinmodo

da poter rubare i trucchi del mestiere.

La prima cosa che hai fatto, quan-

do

ti hanno chiamato a condurre

il ristorante Sirio dell’Hotel The

Pierre di New York?

Quando ho ricevuto la chiamata dal-

la segretaria personale del Sig. Sirio

non ci potevo credere, devo dire

che ero molto emozionato. Quando

lo incontrai il giorno dopo ricordo

ancora che tremavo. Gli diedi il mio

Curriculum e lui prontamente mi ri-

spose: “io della carta non me ne fo

nulla”. Dopodieciminuti di colloquio

mi disse: “ho bisogno di uno chef

come te, domani puoi iniziare”. In

quel momento ero probabilmente la

persona più felice sulla terra perché

ero stato assunto da un ristoratore

conosciuto in tutto il mondo.

Infatti, una grande responsabilità

considerando la popolarità di Sirio

Maccioni tra politici e star. Qual è

il tuo rapporto con lui?

Il rapporto con il Sig. Sirio è molto

umano, si scherza molto ma c’è so-

prattutto molta professionalità.

Foto Gruppo

Massimo Bebber, Gillian Miniter,

Sirio Maccioni e Marco Maccioni