OTT. NOV. 2016
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PRIMO PIANO
Parola ai ristoranti
L’Italia è il terzo Paese europeo con il maggior numero di ristoranti vegeta-
riani, preceduto solo da Germania e Inghilterra. Abbiamo chiesto ad alcuni di
raccontarci la loro esperienza
Mantra, crudista ma non sembra perché è buono
“I nostri ravioli? Ripieni di kimchi (verdure fermentate) hanno la sfoglia di ananas
e cocco fresco, essiccato al punto giusto. Zucchine e alghe sostituiscono la
pasta. La cucina crudista è un’alchimia, uno studio continuo alla ricerca della
consistenza e della texture giuste” spiega Marina Dell’Utri, proprietaria di Mantra,
ristorante vegano e crudista aperto a inizio 2015 a Milano. Tre sole categorie
trattate: frutta, verdura e frutta secca, trasformate dallo chef Alberto Minio
Paluello, che ha studiato alla Matthew Kenney Academy di Santa Monica, mecca
del crudismo.
“Per prima cosa il cibo deve essere buono, poi anche sano e bello da vedere”.
Tanto che “la maggior parte dei clienti è onnivora, sanno che le verdure fanno
bene, o hanno voglia di qualcosa di nuovo, vengono da noi come vanno all’etnico.
Il cibo è saporito, non ci sono prodotti di origine animale ma nessuno se ne
accorge. Abbiamo anche tanti vegetariani, pochi vegani, pochissimi crudisti, una
filosofia che in Italia non è ancora molto diffusa, tanto che aprire un ristorante
“raw” è stata una vera sfida”. Come comunicate questa specificità? “Volevo un
ristorante con un’apertura totale verso gli onnivori, se ci chiedono spieghiamo ma
non assilliamo, non cerchiamo di imporre le nostre idee”.
Crepapelle quando lo street food è vegano
Dolci alla panna e cioccolato, panzerotti, fritti (polenta e zucca, polpette di fagioli
cannellini e porri) e crêpes: da Crepapelle a Firenze il menu guarda allo street
food ma in chiave vegana. “Il nostro cibo è gustoso e saporito, non fa sentire
la mancanza di formaggi, salumi o carni cui siamo abituati per tradizione”
spiega Paola Morandi, proprietaria insieme alla cuoca Sara. Chi viene da voi?
“Due anni fa, quando abbiamo aperto, la clientela era rigorosamente vegan e
vegetariana, oggi, grazie a facebook e al passa parola, il 30/40% è costituita da
onnivori, che ci scelgono perché attenti al benessere, ma anche perché curiosi di
provare qualcosa di diverso”. Come scegliete le materie prime? “Frutta e verdura
vengono dall’azienda agricola di mio padre, sono quindi controllate e a chilometro
zero. Il resto lo compriamo bio, perché questo richiedono i clienti: se all’inizio la
proposta era biologica era al 50%, ora è prevalente. L’origine è comunicata, c’è la
massima trasparenza sulla provenienza degli ingredienti”.
Il Desco, focus su vegetale, bio e Km zero, senza esclusive
Le orecchiette con salsa di zucca gialla e burrata, la ribollita, le zuppe di legumi
ma anche la crema di ceci sul roast beef di scottona: Desco Bistrot nel centro di
Firenze propone una cucina che vira al vegetale, il più possibile biologica e a km
zero (il 90% di ortofrutta e l’olio provengono dall’azienda biologica di famiglia) ma
che non elimina la carne. “La maggior parte dell’offerta è sui vegetali” dice Giulia
Bargiacchi, che gestisce il locale con il marito Shams - “Una cucina semplice ma
golosa, e digeribile un requisito sempre più richiesto dai clienti. Certo, bisogna
spiegare al cliente che le verdure hanno tempi di lavorazione maggiori della
carne: vanno lavate, tagliate, sono facilmente deperibili. Il biologico ha un costo.
Inoltre bisogna saperle cuocere al punto giusto, mantenendo la brillantezza
dei colori. Si usano di stagione rispettando i ritmi della natura, come mi hanno
insegnato le nonne: vengo da una tradizione contadina che è ricchissima di piatti
vegetariani. L’importante è comunicare la qualità, perché i clienti sono sempre
più attenti a quello che mangiano”.
Mantra Raw
Crepapelle
Il Desco Bistrò
foto © Francesca Pagliai




