NELL’ERA DI INSTAGRAM
TUTTI PAZZI
PER LA LATTE ART
La mano più creativa e glamour? È quella degli
esperti di Latte Art. Come
Chiara Bergonzi
, per tre
anni consecutivi campionessa Italiana di Latte Art,
vice campionessa mondiale a Melbourne nel 2014 e
Authorised SCAE Trainer.
“Mi sono avvicinata alla Latte Art per caso quando
avevo un bar a Piacenza, ed era un modo per attirare
clienti che così venivano più volentieri a fare colazione
da noi. Alla fine un cappuccino è un po’ simile ovunque,
certo ci vuole un buon caffè, il latte è spesso industriale,
c’è la tecnica della montatura, ma versaggio e
decorazione fanno la differenza, la Latte Art incuriosisce,
porta quei 10/20 clienti in più e soprattutto li fidelizza”.
Ma spesso la Latte Art è anche il primo approccio
dell’aspirante barista. “Anche se richiede molta tecnica
sembra facile e cattura, è una buona chiave di entrata al
mondo del caffè”.
In fondo è comprensibile come, ai tempi di Instagram
e del primato del cibo e del drink fotogenico, le
decorazioni fatte con la schiuma siano un’arma potente.
E dato l’innegabile impatto visivo, i social diventano
il mezzo principale per farsi conoscere: “oggi i social
contano moltissimo. La visibilità si ottiene con le foto
e i video condivisi e Facebook, se lo si sa usare, è lo
strumento numero uno”.
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Mixer
/ COLLECTION
LE “M” DEL CAFFÈ
Mano
Oltre che chef, dunque, anche un po’ sommelier?
“Certo, al barista è richiesta anche una competenza
nell’assaggio e una tecnica sensoriale. Estrarre un
espresso sembra facile,madietrouna tazzina ci sono
140variabili che incidonosullaqualità”.Dunque, largo
alla formazione, d’alto livello. Perché la pratica sul
campo non basta più. “C’è bisogno di un passag-
gio generazionale, servono competenze tecniche e
sensoriali, per la pratica invece c’è ampio spazio”.
“Ritengo il concetto di mano non più attuale – mette
subito le… mani avanti
Francesco Sanapo
, artigia-
no del caffè in quel di Firenze dove è proprietario
di Ditta Artigianale e tre volte campione italiano di
caffetteria –, a meno che non si intenda lo studio
serio del barista che si avvicina al caffè. Stiamo rag-
giungendo i livelli più bassi di questa professione,
è necessaria oggi una grande ricerca sulla materia
prima e sull’estrazione a partire dall’acqua, che può
essere resa neutra e rimineralizzata a seconda della
tostatura e della tipologia di caffè. Vanno fatte prove
su prove, e il test finale è sempre l’assaggio. Oggi
rispetto a 15 anni fa è molto più semplice formarsi,
ci sono tantissime opportunità, anche seguendo i
maggiori esperti sul web. Per scegliere una scuola
seria poi basta controllare i curricula dei formatori e
vedere se fanno al caso nostro”.
Il problema è che l’Italia ha perso il primato: “molte
torrefazioni hanno smesso la ricerca della materia
prima che le distingueva e pensano ai numeri, non
alla qualità. Il consumatore finale poi non sceglie,
mette magari due bustine di zucchero nella tazzina
e per lui è tutto uguale”.
Comesi escedaquesta impasse?“Il baristadovrebbe
essere più formato e non scendere a compromessi:
pagarsi la macchina, che si ammortizza in tre anni, e
selezionare lamateriaprima. Epoi sfruttareungrande
potere: il rapporto diretto con il cliente, usando lo
storytelling, raccontandogli cosac’èdietrouna
tazzina,dadovevieneilcaffèecomevagustato”.




