caffè
30 Aprile 2021Paese che vai, caffè – e leggenda – che trovi: quasi ognuno ha una sua storia sulla nascita caffè. Il “Khaldi” brasiliano si chiama Francisco de Mello Palheta, ed è il diplomatico che fortunosamente (e illegalmente) portò il caffè in Brasile nel 1727 trafugandolo dalla Guiana Francese, dove era stata proibita l’esportazione di piante e semi nella speranza di mantenere il monopolio della coltivazione nel Nuovo continente. Pare con la complicità della moglie del governatore che, conquistata dal suo bell’aspetto, nascose una pianta in un mazzo di fiori che gli consegnò alla partenza. Come il pastore etiope è stato investito della scoperta delle strepitose proprietà del chicco di Coffea tostato, il Paletha, personaggio storico peraltro, è colui che portò un immenso dono al suo Paese, da quasi duecento anni il maggiore produttore ed esportatore mondiale (un chicco su tre viene da qui) con 220mila produttori grandi e piccoli, e che per questo ha una grande influenza sul mercato mondiale e suoi prezzi. La maggior parte del caffè utilizzato per le miscele da espresso viene dal Brasile.
GRANDE VARIETÀ IN UN UNICO RACCOLTO
Sono 14 le principali regioni produttrici di caffè in Brasile divise in sette stati: Minas Gerais che risponde per metà della produzione, Espírito Santo, São Paulo, Bahia, Rondonia e Paraná e Rio de Janeiro. Il che porta naturalmente a una amplissima gamma di varietà, tipologie e qualità, dall’Arabica (che copre il 70% della produzione) alla Robusta, dalle più tradizionali alle arditamente sperimentali. Caratteristica del Paese è quella di avere un solo raccolto (la stagione va da maggio a settembre) e – a seguito del ciclo di produttività della pianta – un anno di raccolti abbondanti e uno di raccolti scarsi, con, in situazioni normali (al netto cioè di malattie come la ruggine che ha devastato i raccolti nel 2013 o eventi meteorologici estremi come gelate o siccità) normalmente negli anni dispari raccolti deboli e nei pari abbondanti. I caffè brasiliani sono caratterizzati da una dolcezza intensa con note di caramello e cioccolato, grande corpo e una acidità generalmente bassa. Le tipologie più coltivate sono Bourbon, Mundo Novo e Catuaí. La gran parte è lavorato con metodo naturale o pulped natural (semilavato). L’Ibge, l’Istituto brasiliano di geografia e statistica, prevede che il raccolto brasiliano 2020/21 sarà pari a 59,6 milioni di sacchi di cui 45 milioni di Arabica, il maggior quantitativo registrato dall’Istituto, mentre la produzione di Robusta sarà stabile a 14,6 milioni. Conab, agenzia responsabile dell’elaborazione e delle statistiche ufficiali del governo brasiliano, ipotizza un raccolto tra i 57,2 e i 62,02 milioni di sacchi.
COS’È IL COB?
Una tale complessità e abbondanza ha generato un sistema di classificazione del caffè verde complesso, il COB o Classificação Oficial Brasileira. Frutto di una lunga tradizione di cupping e valutazioni, è stato formalizzato nel 2002 dal governo. Va dal “voto” più alto (Estritamente Mole, strettamente morbido, grande dolcezza bilanciamento e complessità) al più basso (Riado, per chicchi sbilanciati senza complessità e con gusti spiacevoli di fermentazione e medicinali), con Rio e Riozona che descrivono i chicchi decisamente difettati e degradati. Nonostante con l’aumento della qualità del caffè brasiliano siano oggi utilizzato gli standard SCA e sia stato creato un nuovo protocollo chiamato PQC, il COB resta il linguaggio più utilizzato per la valutazione di ogni tipo di caffè nel Paese.
Anna Muzio collabora con Mixer dal 2013. E' autrice insieme ad Andrea Cuomo di “Mondo Caffè. Storia, consumo ed evoluzione di un’invenzione meravigliosa” (ed. Cairo, I libri de Il Golosario). Cura il web magazine coffeando.it
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