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SETTEMBRE/OTTOBRE 2014
c
onsiderata una delle leve da manovrare per
ridare slancio a consumi asfittici, l’innova-
zione è da tempo al centro delle tante rifles-
sioni di chi opera nel sistema dei consumi.
È abbastanza risaputo che la distribuzione lamenta lamancanza
di innovazione da parte dell’industria di marca. Quest’ultima,
dal canto suo, sembra soffrire di una mancanza di spinta.
Non che manchino i prodotti nuovi: nel solo 2013 sono arrivati
sugli scafali quasi 27 mila nuovi prodotti.
Il fatto è che il 90% copre solo un quarto del fatturato generato
dai nuovi inserimenti (fonte Rapporto Coop). E non si tratta
solo di una situazione italiana. Secondo Nielsen, dei 61.644
lanci realizzati in Europa occidentale tra il 2011 e il 2013, solo
il 24% ha mantenuto le vendite per 52 settimane.
Quali sono le ragioni di questi insuccessi?
Possono essere le più svariate, ma una domanda rimane fon-
damentale. Quanta innovazione reale c’è dietro l’inserimento
di un nuovo prodotto? O in altri termini, quanti nuovi Sku
sono in realtà semplici restyling, cambi di formato, repliche
di altri prodotti, in una sorta di rincorsa senza fine al me too?
L’inevitabile risultato è che il consumatore trova prodotti di
marche diverse (compreso il marchio del distributore) perfet-
tamente sovrapponibili e indifferenziate
E l’unica molla che scatta è il confronto di prezzo.
Sembra che, in sostanza, si sia abdicato, nonostante le dichia-
razioni d’intenti, a fare vera innovazione basata sull’ascolto
delle persone, per gran parte delle quali fare la spesa è rou-
tine, necessità di approvvigionamento e in queste condizioni
“il piacere” è venuto meno.
Certamente la distribuzione ha dalla sua l’arma del punto
vendita, dove ricreare un’esperienza d’acquisto gratificante
e coinvolgente, magari supportata dall’uso delle tecnologie
(in quanti supermercati però è disponibile una rete wifi gra-
tuita?). Ma dal momento in cui vede la luce un format nuovo
alla sua estensione alla rete il tempo passa e la velocità di
obsolescenza di un punto vendita è superiore che in passato.
Insomma, anche sul fronte del retail l’innovazione segna il
passo. Soprattutto di questi tempi.La questione è però un’altra.
Se cioè il processo che conduce il prodotto sullo scaffale, ba-
sato su modelli contrattuali dove gli sconti condizionati sono
parte importante e influenzano gli assortimenti, abbia ancora
un senso. Non a caso nel mondo distributivo sono in corso
ripensamenti a questo riguardo e il recente accordo strategico
tra Conad e Gruppo Finiper sembra andare in una direzione
più orientata alla qualità dei progetti che alla muscolarità.
Visto lo stato delle cose, sembra proprio giunto il tempo
di ascoltare le esigenze del consumatore, di fare azione di
educazione alimentare, di interloquire con i nuovi decisori
d’acquisto composti da quella che viene chiamata generazio-
ne Masterchef, adolescenti che imparano a conoscere il food
dalle trasmissioni televisive, cui proporre qualità, innovazione,
scoperta, sostenibilità.
Se ci fossero prodotti veramente nuovi, l’83% degli italia-
ni sarebbe propenso a sperimentarli, e sarebbe disposto a
spendere anche qualcosa in più. Solo che non li trova (Iri),
contrariamente a quanto avviene per altri settori, dove il solo
annuncio della novità scatena i consumatori (vedi la prevendita
online di iPhone6). Qualcosa vorrà dire.
InStore è alla sua prima uscita. In questo è affiancato
dal sito
instoremag.it
con corredo di newsletter, che avrà
anche una versione inglese rivolta ai buyer internazionali,
creando una dialettica e uno scambio di conoscenze che
ci auguriamo proficuo per tutti. È il nostro contributo
all’innovazione. Seguiteci
.
Fabrizio Gomarasca
Tempo d’innovare
EDITORIALE
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