grappa
12 Novembre 2025
Prima di parlare di grappa con Enrico Berta, è consigliato accantonare certezze della vigilia. L’imprenditore piemontese, a capo della distilleria di famiglia fondata a Nizza Monferrato da suo padre Paolo nel 1947, coglie infatti spesso di sorpresa. La sensazione è che adori controcorrente, come ci è parso intervistandolo. Alla parola tendenza, tanto per entrare a fondo nel discorso, lui preferisce quella di tradizione. Parlando del suo amato distillato di vinaccio, avverte che ciò che conta è l’essenza del prodotto. Il resto è un eventuale plus, su cui scommettere o da ignorare.
Storce dunque il naso di fronte a nuovi temi di attualità, come la produzione di spirits analcolici, o di cui si dibatte da decenni, nel caso della mixology con grappa. Tutto è possibile, ma tutto è discutibile, ci dice. E se gli si comunica che è anche le nuove frontiere del consumo appartengono all’innovazione, la sua replica è che il nuovo vada piuttosto ricercato, come tradizione insegna, nelle forme di invecchiamento e di conservazione del distillato di vinaccia. Ma per non sembrare troppo conservatore, ricorda come alla sua azienda piaccia testare nuovi territori dove nessuno ha mai messo piede. È il caso dell’armonicoltura applicata alla grappa, progetto lanciato lo scorso anno. Questo e altro troverete nell’intervista qui di seguito. Una chiaccherata animata, che parte dall’analisi di un mercato che attualmente fatica a definirsi brillante.
Consumi di grappa sotto pressione, come succede per quasi tutti gli spirits: è preoccupato?
Sarò sincero: non più di tanto. Le spiego la ragione: la grappa storicamente non ha mai fatto volume pazzeschi, quindi nemmeno folli cadute al ribasso. Certo speriamo in una veloce ripresa. Noi sul 2025, come distilleria, prevediamo un calo del fatturato del 10% rispetto al 2024 che aveva chiuso a 11,6 milioni di euro.
Ma quali sono le ragioni di questa generale flessione?
Ne individuo principalmente due. La grande tensione a livello internazionale che sta avendo ripercussioni economiche a livello mondiale. Il caso che mi preoccupa di più è quello della Germania, che sta attraversando una fase di deflazione storica, mettendo in dubbio la proverbiale certezza di un paese che è da decenni la locomotiva d’Europa. Per noi il mercato tedesco è secondo a livello di volumi, alle spalle di quello svizzero, e genera l’8% del nostro fatturato. C’è poi un trend legato al salutismo, che spinge molte persone a preferire bevande a bassa gradazione alcolica o a zero alcol. Capisco chi opta per cocktail più leggeri, mentre sono contrario alla produzione di spirits senza alcol perché non in linea con la tradizione della nostra azienda.
Che ne pensa della grappa nella miscelazione?
Abbiamo sperimentato, ma siamo dell’idea che il prodotto rimanga saldamente ancorato al dopo pasto. È un distillato che, se miscelato, riteniamo possa prevaricare o essere prevaricato da altri spirits: in entrambi i casi si perderebbe valore organolettico. La forza di un cocktail deve rimanere l’equilibrio dei vari sapori. Puntiamo invece sulla mixology con la nostra piccola produzione di liquori, come per esempio sambuca, rosolio e amaro. Progetti in questa direzione sono condotti dal nostro bartender di riferimento, Marco Fara, che sta ideando alcune ricette che potrebbero presto trovare spazio nei cocktail bar.
La spaventano i dazi imposti dagli Stati Uniti sui prodotti alcolici italiani?
No, per niente, anche perché il mercato a stelle e strisce per Berta non è prioritario e non rientra nemmeno nei primi dieci punti di approdo.
Oggi chi può definirsi grappa lover?
Consumatori esperti di spirits e liquori che amano assaporare prodotti che regalano al palato una varietà di sentori e toni aromatici. Questo target crea una forte relazione di fedeltà con la marca, come possiamo confermare noi di Berta. Penso che la grande sfida per noi produttori del settore sia appunto riuscire a fidelizzare il consumatore alla marca premium. Si spende di più, si beve di meno, ma meglio.
Prima ha evocato una delle sfide per i grappaioli, vale a dire assicurarsi per anni la lealtà del cliente. Basta quindi questo per fare un buon business?
Magari fosse così. In realtà ci sono altri traguardi che è fondamentale raggiungere. Uno di questi riguarda la difficoltà a fare amare il prodotto grappa alle nuove generazioni. Se ne parla da tanto tempo e io ogni volta ripeto la stessa cosa: è una questione di educazione.
Confesso che mi sfugge quello che sta affermando…
Intendo dire che, se cresci in una famiglia che ti educa a mangiare e bere bene, impari ad apprezzare la qualità e lo fai con moderazione. Noi Berta abbiamo sempre sposato questo principio. C’è una fetta di giovani che non sanno bene come comportarsi con la grappa, un po’ perché non la conoscono, un po’ perché approcciandola da neofiti non ne individuano i limiti di consumo. Ma c’è anche una nuova generazione curiosa che sta crescendo, che quando visita la nostra distilleria pone domande, scopre, obietta e capisce come consumarla con consapevolezza.
Anche lei, nel suo lavoro, continua a scoprire cose nuove?
Non mi fermo di farlo ogni singolo giorno. Lavorare nel mondo grappa ti concede anche questa immensa fortuna, arricchendo costantemente la tua conoscenza. Prendiamo, per esempio, il progetto condotto insieme al compianto Peppe Vessicchio e al suo storico collaboratore Andrea Rizzoli, con cui, lo scorso anno, abbiamo creato Ditirambo, ovvero la prima grappa al mondo sottoposta a un trattamento di base di musica armonico-naturale composta dallo stesso noto direttore di orchestra. Un progetto che mi ha sbalordito, affascinato ed entusiasmato, considerando che abbiamo utilizzato una selezione di grappe SoloPerGian invecchiate 8 anni in botti da 1200 litri. Incredibile, bastano una ventina di minuti di armonizzazione sonora per ottenere un prodotto più complesso e arricchito con nuovi sentori e aromi. Ecco questa sì che è l’innovazione che mi piace, condotta insieme a una persona speciale, straordinaria, a noi tutti molto caro e che oggi purtroppo non c’è più.
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