QUALITALY 142
O ttobre/Novembre 2024 19 MAGAZINE è semplice: imitare il funzionamento degli eco-sistemi ambientali, in modo da creare un’economia rigenerativa e, perciò, più efficacemente distributiva. È proprio questa la scommessa rigenerativa dell’eco- nomia “circolare”, basata – per l’appunto – su sistemi ciclici, cosiddetti “a circuito chiuso”, in cui non si può più pensare di estrarre e produrre, senza – per così dire – ridare al pianeta qualcosa di quel che si è prelevato, reimmettendolo così nel circolo produttivo, a beneficio di tutti. Persino gli scar ti dell’attività produttiva allora finiranno per contare , perché magari c’è margine di recuperarli, trasformandoli in risorse preziose, evitando che finiscano ammassati nelle discariche. Infine, un ultimo lato etico della questione alimentare riguarda le scelte di chi acquista e consuma cibo. Molta della retorica politica di questi ultimi anni ha puntato tutto sulla figura del consum-attore, raccontandoci la favola che avrebbe fatto sentire la sua voce, attraverso il carrello della spesa. Ma la verità è che assomiglia di più a una simpatica marionetta, che continua a muo- versi nel labirinto seduttivo del marketing, predisposto per fargli credere di essere il protagonista del cambia- mento. Chi si misura con le questioni che l’etica del cibo solleva sa bene che è un po’ infantile – come ci ricorda Thomson , “sperare di salvare il mondo facendo meglio lo shopping”. Si dirà che è comunque meglio del consumo acefalo di massa o dello snobismo estetico del foodie , che poi non è altro che la versione post-moderna del raffinato buongustaio borghese; meglio sicuramente dell’osses- sione voyeuristica di chi gode a postare foto di cibo sessualizzato su Instagram. Ma ancora non ci siamo, se non arriviamo a prendere la via di un’azione collettiva e coordinata, in grado di dare forma politica all’indigna- zione per quel genocidio silenzioso da cui siamo partiti. È probabile che quella voice comunitaria stonerà: vorrà dire che sarà stata una protesta autentica. Peraltro, basterebbe prestare orecchio: i contadini, almeno loro, lo stanno urlando da un pez zo. È almeno dal Summit Mondiale FAO del 1996 che ci provavano, con la loro idea fissa della sovranità alimentare. Non hanno mai smesso di dirlo: non può esistere sicu- rezza alimentare, se chi produce cibo non ha voce in capitolo nel modo in cui lo si deve produrre, nel rispetto della terra, degli animali, delle persone e delle culture. In fondo, era già tutto scritto in quella bella idea di cibo adeguato, che il diritto al cibo – come abbia- mo detto – prevede nella sua complessa architettura giuridica di tutele. Ma ci voleva la voce indignata dei contadini perché capissimo che quell’idea è la chiave di tutto, semplicemente perché dietro quell’idea c’è la dignità delle persone. Dunque, è sempre la medesima questione di giustizia che l’etica del cibo tiene ferma: su questo non si fanno sconti. Sta di fatto che , da settembre 2018, la sovranità alimentare è diventata un diritto, incastonato dentro una dichiarazione nuova di zecca: “I contadini e altre persone che lavorano in zone rurali hanno il diritto di determinare i propri sistemi alimentari e agricoli, essendo questo riconosciuto da numerosi Stati e regioni quale diritto alla sovranità alimentare. Questo include il diritto di par tecipare ai processi decisionali sulle politiche alimentari e agricole e il diritto ad alimenti sani e adeguati, prodotti tramite metodi ecologicamente sicuri e sostenibili che rispet- tano le loro culture”. Io credo che occorra par tire da qui. O possiamo dire addio al nostro spazio operativo sicuro. E , se succederà, sarà troppo tardi per tornare a quest ’unico punto di par tenza che ci resta. Per noi e per le generazioni che verranno.
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