QUALITALY 142
O ttobre/Novembre 2024 1 7 MAGAZINE Dulcis in fundo, le proiezioni al 2050 sembrano dise- gnare una specie di incubo distopico: sprecheremo più del doppio di quanto facciamo oggi. Che fare? È il momento di essere creativi e concreti. Abbiamo due problemi, perdita e spreco, che esigono due soluzioni diverse : una tecno -scienti f ica e una educativo - culturale . Par tiamo dalla questione del- la perdita di cibo lungo la catena agro -alimentare . Consideriamo, ad esempio, il cibo che si de teriora per l’esposizione a svariati microbi o finisce divorato dagli insetti che prosperano nei silos di stoccaggio. Non serve immaginare scenari fantascientifici. La tec- nologia per evitare questa perdita lungo il ciclo pro - duttivo l’abbiamo ormai da ann i : s i ch i amano biosensori , sinte ti z zati i n l abo ra t o r i o usando nanopar ticelle, in grado di monitorare la qualità del cibo, raccogliere e inviare masse enormi di dati a sistemi informa- tivi che , a loro volta , li proces sano a ve l oc i t à umanamente impensa- bili, grazie all’implemen- tazione dell’intelligenza ar tificiale. È un business in f or te ascesa e assai promet- tente. Ma naturalmente questa è solo una fac - c i a de l l a r i spos t a che pos siamo da re . L’a l tra faccia , eticamente cru- ciale , va di pari passo col chiedersi in che misura sia possibile garantire che i biosensori siano sicuri per la nostra salute e per l’ambiente. Il fatto è che non sono semplicemente organismi ge- neticamente modificati. Sono geneticamente proget- tati “da zero” in laboratorio, perciò si tratta di entità biologiche che non esistono in natura. Predire come si compor teranno le nanopar ticelle, e in che maniera evolveranno una volta liberate nell ’ambiente , non è affatto uno scher zo. C ’è poi un dubbio di fondo, che mi pare il caso di non tralasciare : siamo sicuri che questa versione “benef icente” del capitalismo bio -tecnologico, ca- pace di me t ter si i guanti anti-spreco del rispe t to ambientale e sociale , sia davvero meno sfruttatrice o ha semplicemente trovato un modo educato per continuare a divorare il pianeta , chiedendo educa- tamente il permesso? Ora la questione degli sprechi. Sebbene le perdite di cibo si verifichino in ogni punto della catena produt- tiva, è ormai assodato che i consumatori finali fanno la loro considerevole par te. Vi è però chi ritiene poco efficace continuare a insistere sul peso, peraltro inne- gabile, dei comportamenti individuali, se lo paragonia- mo, a livello macro, alle responsabilità decisamente maggiori delle istituzioni. Meglio, allora, agire per un cambiamento sistemico, piuttosto che fissarsi re- toricamente sulle scelte micro, pur sbagliate , di chi si siede a tavola. La verità, però, è che que- ste scelte contano. A dirla tutta , sono pro- prio le famiglie dei Paesi industriali z zati a spre - care di più . Il punto è capire bene perché così tanto cibo viene buttato via. E non è affatto sem- p l i c e . L’e l emen t o che colpisce di più è , forse , il gap frequente che si r eg i s t ra t ra g l i a t t eg- giamenti , le intenzioni e s p l i c i t e d i s p r e c a r e meno, persino il senso d i co l pa ne i con f ron t i d i ch i muo re d i f ame , e quelli che sono poi i compor tamenti effe ttivi. Se , però, si scende nel de ttaglio, si capisce subito che sarebbero tanti i margini di inter vento educativo e di sensibiliz zazione: dall’imparare come si fa la spesa , quanto si cucina, come si conservano e gestiscono gli avanzi. E magari capire bene che c’è una differenza tra l’etichetta “da consumare entro” (use by) e “prefe- ribilmente entro” (best before): sembrerà strano, ma sono in molti a non sapere che la prima riguarda la salubrità del cibo, la seconda invece la sua qualità. Per f inire all ’aspetto eticamente più imbaraz zante e cioè il fatto che la condivisione del surplus di cibo è ancora incredibilmente scarsa: mentre si sta agendo
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