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34 MAGAZINE SAI CHE C 'È rie della villa, non stonano i grandi lampadari di vetro di Murano, il tavolo rotondo della winery longue che demo- craticamente non pone al centro nessuno, le biblioteche dei vini. Gli spunti di luce sono ampie finestre che s’aprono sul parco, un giardino romantico di molti ettari che si fa geloso custode della proprietà e dei suoi ospiti. Il buffet non è opulento eppure è ricco. La mano di chef Lavezzini opera leggera secondo una filosofia che por ta al gusto nella sua credibile essenza, priva di coperture artate delle materie prime. L’ostrica, il gambero, il tonno, il salmone, la seppia declamano piani sa- pidi in purezza di gusto nel servizio a crudo o in leggera cottura. Il vegetale del carcio- fo possiede una sua minera- lità. L’umami della pappa al pomodoro è rotondo. La pan- cetta croccante della Caesar salad è una guarnizione che dà struttura. Bastoncini che ricordano i regoli della mia infanzia, lavorati dal cuore di verdure multicolori, sono esposti in bicchieri di crudi- tés nella più semplice inter- pretazione dei finger food. Il cheesecake vegetale cede al taleggio. La crema di funghi è in semplici coppette. L’in- salata di quinoa nella zuppiera grande. L’isola dei salumi riporta ordinatamente su carta da macellaio il capocollo e il salame gentile, la finocchiona ruffiana, i cubi di mor tadella di Prato con le sue note di alchermes. Matrice versatile nella sua abi- lità di assumere colore e di perderlo lungo una paletta che include gli estremi cromatici del cibo, il riso ci dimostra che nulla è ‘o solo bian- co o solo nero’ in barba ai Fiorentini da sempre divisi senza via di mezzo in ghibel- lini e guelfi. Si gioca con la versatilità del riso Acquerello e il rosso è dell’arancino al pomodoro e mozzarella, il giallo del riso allo zafferano al ragù di cortile. Il bianco è della frittata con fonduta di Parmigiano, il nero dell’insalata ai frutti di mare, il marrone della torta alla sambuca. Il ver- de è della crema di spinaci, gorgonzola e noci mentre il viola dello sformato di barbabietola e alloro. I piatti caldi anticipano la cucina. Le paste sono il fusillo con sugo di crostacei o hanno mollica e acciughe. L’arancina è al sugo, il riso ripassato è croccante, la densa zuppa di patate è ravvivata dalla cicoria amara. Poi si entra nel cuore opera- tivo del Four Seasons, la cu- cina, dove troviamo i cibi da colazione, che in un brunch non dovrebbero mai mancare, e le carni: il gallo e l’agnel- lo ripieni, il saltimbocca alla romana, il coniglio in umido e l’assaggio della bistecca. Il maialino è di cer to ingordo e non nasconde il suo ripie- no al pistacchio. La brigata è giovane e allegra, pronta al sorriso, scanzonata come mi aspetto in una Firenze dove la burla e la goliardia di Amici Miei di Monicelli non può mancare se si vuole esprimere l’essenza di una città che, anche in cucina, sa essere bischera, e cioè vera, quanto basta. Dulcis in fundo: la lineare schiettez za di pensiero della cucina del Four Seasons tro- va spazio in un alle- stimento geome trico della tavola dei dolci. Non mancano i gela- ti , per me la vaniglia è sovrana , e il cioc - colato bello nelle sue tavole un po’ rustiche deco ra t e da l l e f ave di cacao disposte in alti vasi. È una ‘mignotterie’, cosi chiamo con ilarità la piccola pasticceria mignon che adesca all’assag- gio goduriosa, il boccon monopor zione che indulge all’essenziale , il piccolo cucchiaio di crema e di bu- dino. Poi sono i dolci della tradizione carnascialesca a completare l’offer ta, con stracci molto fiorentini e donuts molto americani. “ ” Il termine brunch è un portmanteau che nasce dalla sincrasi tra lunch e breakfast. Appare per la prima volta in un articolo di Guy Beringer dal titolo ‘Brunch - a plea’
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