QUALITALY_125

OTT. NOV. 2021 37 nominazione è il Veneto, ma sono diffusi capillarmente: non c’è provincia italiana che non abbia le proprie DOP o IGP. Un esempio di quanto una denominazione valorizzi un prodotto, è il cioccolato di Modica, dopo il riconoscimento dell’IGP è passato da una produzione limitata a volumi d’affari importanti”. Il valore acquisito da un prodotto al ri- conoscimento della denominazione lo accompagna anche quando viene usato come ingrediente inunpiatto. “Unprodot- to tutelato – spiega Rosati – appartiene a una filiera controllata e certificata, in cui il Consorzio fa da garante. Inserire un prodotto del genere nel proprio me- nù significa trasferire queste garanzie al consumatore. I prodotti adenominazione assicurano la tracciabilità totale e tute- lano anche nei confronti del fenomeno dell’Italian Sounding”. Ci sono poi dei vantaggi a livello di mar- ketingedi comunicazione. “Ladenomina- zione–afferma– rappresentaun richiamo per il consumatore.Per esempio, sescrivo sul menù Culatello di Zibello IGP, il con- sumatore sa di cosa parlo; non è detto che lo sappia se scrivo culaccia. Inoltre, i Consorzi, che organizzano le attività di comunicazione delle denominazioni, spessopromuovonoanche i ristoranti che usano i prodotti”. Di contro, ingenere scegliereunprodotto DOPo IGP rispettoaunoanalogo,magari dello stesso territorio, può comportare un aumento di costi: una nota dolente per i ristoratori. “È vero – commenta Rosati – ma le fi- liere a denominazione garantiscono una giusta retribuzione in tutta la filiera, fino all’agricoltore. Per un ristoratorechevuole adottare una politica di sostenibilità, è importante prestare attenzione anche a questoaspetto.Utilizzare ingredienti DOP e IGPpuòessereunmodoper valorizzare anche economicamente il proprio menù. Per esempio, come viene fatto pagare un extra per l’aggiunta di tartufo su alcuni piatti, così potrebbe essere fatto per un olioextravergineparticolareoun formag- giodagrattugiadi granpregio. Citoquesti ingredienti perché incidono sulla qualità del menù nel suo complesso, entrando nella maggioranza dei piatti. Credo che, come i ristoratori hanno imparato a co- municare e vendere i grandi vini a deno- minazione controllata, debbano farlo per gli altri prodotti che entrano nel menù”. Rosati cita due esempi. Uno è il Pomodo- ro del Piennolo Dop, che costa più della media e grazie a una strategia vincente dei produttori e del consorzio di tutela vede riconosciuto il suo valore. “Se una pizzeria chiede un paio di euro in più per unapizzaconquestoingredienterispettoa unapassata“normale”–afferma- lagente la sceglie. Questodimostra che se ci sono le informazioni di baseal consumatoree la volontà del ristoratore, certi prodotti che possonosembrarebanali,diventanomoti- vodiattrazione.Unaltrocasoemblematico è l’Aceto Balsamico di Modena: negli anni Settanta non lo conosceva nessuno al di fuori della zona di produzione, finché uno chef negli USA iniziò a farlo pagare un dollaro a goccia. Da lì nacque il mito di questocondimento, cheoggi fatturaquasi un miliardo tra DOP e IGP”. Non sono questi gli unici esempi virtuo- si. Il Consorzio della Chianina ha creato un circuito di ristoranti cui, tramite un collegamento software, è rilasciato un certificato ogni volta che acquistano da Giovanni de Angelis, Direttore Generale di ANICAV Mauro Rosati, direttore di Fondazione Qualivita

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