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APR. MAG. 2019 20 La grammatica della cucina DI MAURO GAROFALO L a cucina del futuro. La tecnologia. Cosa sta cam- biando e come cambierà il nostro modo di man- giare domani. Ma intanto quali sono gli errori più comuni da evitare se parliamo di ristorazione? Abbiamo chiesto a tre esperti la loro ricetta per una corret- ta grammatica della cucina . Oggi. CARLO MEO, AD M&T SRL E DOCENTE POLIDESIGN «La grammatica che oggi decreta il successo o l’insuccesso di un locale – commenta CarloMeo, amministra- tore delegato di Marketing and Trade ( www.marketingtrade.it ) – varia a seconda se si vede il bicchieremezzo pieno o mezzo vuoto, ed è quanto- meno duplice. Da una parte c’è la creatività, il concepting , ovvero tutto ciò che crea “l’esperienza del cibo” nel consumatore, il modo in cui si concepisce il locale». Poi: «C’è la questione delle regole che occorre seguire se si vuole stare in questo settore, regole scientifiche a cui non si può derogare: il costo dell’affitto, il fatturato totale, il costo del personale, il food cost , i metri quadri giusti e la location giusta per IN SALA il prodotto che si vuole proporre; infine la formazione del personale, e quale l’utilizzo che si vuole fare dei social e dei media». In sintesi per Meo, docente di New Entertainment design e Food Expe- rience design del Polidesign Politec- nico di Milano: «Oggi per sviluppare il concetto di food – stellato o no – occorre tanta creatività ma anche essere imprenditori. Del resto, com- merciante, il ristoratore lo è sempre stato, anche se si deve ormai evitare l’improvvisazione, la capacità istrio- nica dell’oste che fino a qualche tem- po fa poteva andare bene. Il savoir faire oggi si deve tradurre nel saper fare ristorazione a tutto tondo». Gli errori più ricorrenti: «Sono tre – per l’ad di M&T –. Il primo è pen- sare che, siccome il food è di mo- da, e piace, allora tutti ci si possa improvvisare. Tutti si “buttano” in questo settore: chi era un avvocato di successo, chi ha messo soldi da parte, chi conosce una case history , chi pensa che aprire uno street food sia facile, ma non lo è! – e, valuta il docente del Politecnico – questo è il settore piùdifficile, perché devi com- prare materie prime e trasformarle. Chi vende jeans investe sul brand e vende quello, ma nella ristorazione devi comprare prodotti di qualità, saper stoccare, cucinare, scegliere il pane, servire in sala avendo formato camerieri simpatici e preparati». E non basta, perché ironia della sorte «se bruci un hamburger, hai com- promesso tutto. Se il ristoratore è uno che lavora nel settore da anni, nel 99% ha un’impostazione fami- liare, e così molto spesso le logiche di casa vengono riportate a lavoro. Non dimentichiamo che questi locali fatturano come una piccola-media azienda italiana, è il tessuto che tiene Ricette, consigli ed errori da evitare prima di essere percepiti come una “cucina da incubo”

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